Camminando lungo la stradina che corre accanto al santuario in direzione di Cervasca, salta all’occhio una scritta a caratteri grandi: Mauthausen, il nome di un campo di concentramento austriaco in cui morirono circa 120.000 sulle 180.000 persone internate.

Soltanto un attimo dopo lo sguardo scorre sulle croci con le fotografie e i nomi dei droneresi là deportati e morti di stenti: Allemandi, Bevione, Coalova, Lantermino, Lugliengo, Marchiò.

A Mauthausen venivano prevalentemente internati gli oppositori politici e ideologici, provenienti da molte nazioni europee, sovietici, polacchi, ungheresi, jugoslavi, francesi, spagnoli, cecoslovacchi, greci, olandesi…; gli italiani furono 5750. Nel 44 e 45 arrivarono anche 40.000 ebrei e per loro la sopravvivenza era più difficile. C’erano molte categorie di “diversi”: per nazionalità, cultura, idea politica, religione, orientamento sessuale, condizioni di salute.

Mauthausen ci ricorda un’ideologia che ha condannato da 15 a 17 milioni di persone considerate diverse e inferiori ai lavori forzati e alla morte con le modalità più mostruose che una fantasia criminale può inventarsi.

Due terzi degli ebrei d’Europa sono “passati per il camino”. Ricordiamo quelli di Saint Martin Vesubie: alcuni di loro cercarono di salvarsi scappando sulle nostre montagne e molti furono nascosti dai cervaschesi a San Michele, ai Boschi, nelle borgate più isolate della montagna. Con loro, ricordiamo anche i concittadini che finirono in campi di lavoro o di internamento in Germania. Qualcuno è tornato. Ma non ha raccontato molto: “Guglielmo raccontava e spesso piangeva” diceva Maria; Michele non raccontava per niente: piegava la testa e piangeva.

Il 27 gennaio è la giornata della memoria. E’ giusto ricordare ogni anno quanto è successo, capirlo, narrarlo, farlo vivere ai più giovani. Chissà se i tanti giovani di Cervasca e Vignolo che visitarono Mauthausen con la scuola, quando avevano 13 anni, sanno ancora guardare alle tragedie causate dalle prevaricazioni e delle chiusure mentali con lo stesso sguardo pulito e lo stesso coinvolgimento emotivo di allora. Se quell’esperienza ha lasciato il segno, allora i nostri giovani non si lasceranno irretire dalle allodole della superiorità di razza o status sociale o fede politica che da troppi parti emergono in modo preoccupante e neppure si lasceranno spegnere dall’indifferenza. Allora la nostra comunità sarà al sicuro.

(mb)